TIM: contratto & dintorni

“Come allora, staremo di sentinella

perché nell'alba non ci sorprenda il nemico”

Primo Levi

Roma -

Roma, 30 gennaio 2017

 

TIM nell’incontro del 23 gennaio ha “comunicato” che dal 1 febbraio farà riferimento al Contratto Nazionale di settore e ai regolamenti interni piuttosto che al Contratto di secondo livello. Ci sembra assurdo che ora i Confederali si straccino le vesti: ma credevano realmente che l’azienda ci avrebbe ripensato? Infatti TIM aveva annunciato la disdetta del contratto aziendale tre mesi fa e da allora non ha

convocato alcun tavolo, né le sigle sindacali che avevano titolo monopolista ed esclusivo per chiederlo lo hanno mai richiesto.

TIM ha impiegato invece questo tempo per rafforzare regolamenti vessatori, eseguire trasferimenti coatti, dichiarare finti esuberi per spostare interi settori con lo scopo esclusivo di ridurre il costo del lavoro, continuando però a garantire ricchi emolumenti ai manager.

A questo punto abbiamo l’obbligo di immaginare scenari, magari non veri ma sicuramente verosimili.

Mossa1 - l’azienda esce da Confindustria: si libera del Contratto Nazionale di Settore e degli accordi interconfederali che la costringono a mediare con i Sindacati i temi a lei più cari (salario, controllo a distanza, orario di lavoro e mansioni); varrebbe solo il jobs act con il quale introdurre demansionamento e controllo a distanza, licenziamenti di massa e riassunzione selettiva di sacche di precariato, in modo da ottenere ulteriori riduzioni significative del costo del lavoro.

Mossa 2 - la proprietà francese VIVENDI fa cassa, liberandosi del Caring (comprese probabili delocalizzazioni in tutta Europa), dell’informatica (per esempio Accenture), della Rete (per esempio a una partecipata statale come Enel Open Fiber che continua a vincere bandi Infratel per la banda ultralarga);

Mossa 3 - la proprietà si tiene il brand TIM e solo una divisione commerciale italiana di puro marketing e finanza, che compone pacchetti commerciali di Televisione-Internet-Telefonia, assemblati con infrastrutture dalla società semistatale cc di cui sopra, cui avrebbe ceduto la rete.

Cosa lascerebbe sul campo? Migliaia di lavoratori disoccupati cui il Governo si farebbe carico di dare un tozzo di pane con i nuovi ammortizzatori sociali e che terrebbe impegnati in corsi di riqualificazione governati da commissioni bilaterali cogestite da padronato e sindacati confederali, nell’illusione di un lavoro che non ci sarà.

E’ questo che vogliamo? Assolutamente no!

Pretendiamo un piano industriale serio, ridistribuzione della ricchezza ai lavoratori e investimenti infrastrutturali e di marketing come un paese civile e moderno merita, per il rispetto dei propri clienti e dei cittadini tutti.

Esigiamo un Contratto Nazionale che tuteli tutte le aziende del settore, anche le più deboli a partire dai call center. Non accettiamo che l’azienda tenti di annullare il contratto integrativo depotenziandolo al punto tale da sostituirlo con un regolamento unilaterale, peggiorativo come mai fino ad ora.

Prendiamo il coraggio a due mani, riprendiamoci la nostra vita e i nostri diritti.

Solo la lotta paga.