LAVORO AGILE di nome ma non di fatto

Roma -

Roma, 27 ottobre 2017

Il 25 ottobre le RSU USB, sono state convocate dall’azienda che ha proposto il nuovo accordo sul lavoro agile. Come da prassi ormai consolidata, gli accordi sono blindati, infatti vengono prima concordati per TIM SpA con le segreterie dei sindacati confederali e con il Coordinamento delle RSU di TIM, al quale le nostre RSU non sono ammesse, e poi ribaltati “integralmente” su tutte le aziende del gruppo. In questo caso c’è anche l’aggravante che l’accordo quadro, cui si riferisce integralmente quello proposto per Sparkle e Flash Fiber, è stato firmato solo dalla minoranza delle RSU di TIM e, quindi, non valido ai sensi del Testo Unico sulla Rappresentanza e del Protocollo sulle Relazioni Industriali.

Il “lavoro agile” regolato dalla legge 81 del 22 maggio 2017, conferma l’impostazione generale del Jobs Act:

Nel metodo i temi che storicamente erano oggetto di contrattazione collettiva, sono demandati alla negoziazione individuale, lasciando il lavoratore che sigla l’Accordo di Lavoro Agile, solo di fronte alle condizioni imposte dall’azienda che introducono elementi di precarietà nelle sedi di lavoro e di estensione delle ore lavorate.

Nel merito è nostro dovere fare presente alcuni aspetti ai lavoratori che apprezzano del lavoro agile la possibilità di ridurre il tempo degli estenuanti spostamenti casa-lavoro, di gestire con più autonomia gli impegni privati e lavorativi. Occorre puntare su un insieme di regole che non aumentino l’orario di lavoro, che garantiscano il lavoro di prossimità e le medesime condizioni retributive, di salute e sicurezza per tutti i lavoratori, al fine di evitare che il lavoro agile sia adottato per aumentare il controllo, lo sfruttamento, la frammentazione dei lavoratori, funzionali al progetto di fabbrica 4.0. L’accordo propostoci da TIM va oltre e peggiora la stessa legge cui si ispira, re-interpretando il principio di “agilità” in maniera decisamente rigida. Due esempi:

Orario e luogo di lavoro

La legge dice (art. 18)

“[…] organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro […]La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”

La richiesta aziendale, fissa in sole 16 giornate/anno quelle di lavorofuori dalle sedi aziendali, con orari rigidi e fasce di compresenza, mentre sono 28 quelle di lavoro presso sedi aziendali, largamente insufficienti per numero di postazioni;

Trattamento economico

La legge dice (art. 20)

“Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda.”

Lo schema TIM peggiora ulteriormente la legge e prevede che non verrà corrisposto il buono pasto per le giornate di lavoro agile fruite al di fuori delle sedi aziendali.

Durante gli incontri, a fronte di nostre richieste di revisione, l’azienda ha confermato l’intenzione di imporre regole restrittive e peggioramenti rispetto alla precedente sperimentazione e in linea con il Jobs Act.

USB si è opposta a questa linea, coerentemente con le mobilitazioni che insieme ai lavoratori del gruppo ha messo in campo nei mesi scorsi per rivendicare una piattaforma contrattuale di primo e di secondo livello.

 

Per TIM “agile” vuol dire avere più flessibilità con meno diritti e meno salario,

USB continuerà a battersi per imporre migliori condizioni di lavoro