TIM: The Day After

Roma -

Roma, 09 ottobre 2017

 

Sempre più incerto il futuro di TIM. Indubbiamente nulla di buono all’orizzonte anche alla luce dell’esito del primo scontro politico tra Francia e Italia sui cantieri navali Stx e tra Berlusconi e Bolloré su Mediaset. D’altronde cosa ci si poteva aspettare dopo la nefanda privatizzazione del 1997 ed una lunga storia di scalate e di debiti, iniziata con chimerici capitani coraggiosi per poi finire tristamente in mani straniere.

Nel nome del libero mercato e del “privato è meglio” si optò per l’abbandono del controllo pubblico regalandola ad affaristi che hanno solo pensato unicamente sulla base dei propri profitti personali, come una vacca da mungere senza reali strategie industriali di lungo periodo.

Ma il modello liberista prescritto anche dalle direttive Europee, in venti anni di privatizzazioni, ha visto il tracollo degli utili, il taglio degli investimenti, la precarizzazione del lavoro e il peggioramento dei servizi offerti. In compenso, sono saliti i dividendi degli azionisti, oltre che gli stipendi e liquidazioni degli amministratori delegati succedutosi alla guida, solerti a garantire gli interessi privatistici di accumulazione finanziaria del padrone di turno.

In questi mesi/giorni su giornali e tv assistiamo ad infinite dissertazioni di politici e ex dirigenti, su cosa fare per il futuro di questa società, rimuovendo però consapevolmente un nodo di fondo: il futuro di TIM potrà essere gestito, tenendo conto dell’interesse generale come infrastruttura tecnologica per lo sviluppo del sistema paese e della conservazione dei posti di lavoro tra diretti ed indiretti, come nell’accordo raggiunto per i cantieri navali di Stx con la garanzia del mantenimento dei posti di lavoro francesi; oltre quello del diritto di veto su ogni nomina di vertice che riducono a ben poco il potere di decisione “italiano”.

E’ possibile invertire la rotta? Certo che sì, a patto che tornino al centro l’interesse generale e il diritto al futuro per tutte e tutti, in particolare evitando che TIM possa diventare l’agnello sacrificale alfine di salvaguardare potenziali complicità politico-finanziare.

Da qualsiasi punto la si voglia affrontare, è un problema di volontà politica, non possiamo continuare ad accettare che siano i vincoli finanziari privati, sostenuti dalle linee politiche dell’Unione Europea e la trappola del debito a determinare le scelte politiche collettive.

Il Governo deve uscire dalla sua ambiguità, sottraendo la gestione di TIM in qualità d’infrastruttura delle Telecomunicazioni, al pari delle reti del Trasporto e Energia, dalle mani del privato tramite la sua ripubblicizzazione. Questi sono i fatti che possono determinare la necessaria inversione di rotta, il resto sono lacrime di coccodrillo o l’ennesima attestazione di complicità con gli interessi finanziari in gioco.

Non prendere in considerazione, la nazionalizzazione che salva posti di lavoro è una decisione politica del governo, tanto ideologica quanto inaccettabile, alla luce delle decine di miliardi stanziati per salvare banche private, come MPS e le banche venete, fallite per operazioni speculative portate avanti da imprenditori privati.

Il fallimento della logica del puro mercato, che mette al centro il solo l’interesse finanziario, è ormai dimostrata dai forti squilibri sociali e dalle inefficienze economiche. Pensiamo quindi che la ri-pubblicizzazione del settore sia la premessa per una politica di sviluppo coerente e moderno delle TLC.

L’unica soluzione è solo la sua ri-nazionalizzazione, nell’interesse di tutti.