Ambiente e Lavoro
Nazionalizzare è la nostra
"È tempo di riportare in mani pubbliche la politica industriale del Paese, perché coniugare lavoro e ambiente si può e si deve".
Venerdì 29 novembre eravamo migliaia a Taranto per lo sciopero e la manifestazione per l'Ilva ed è stato per Taranto un "giorno storico", in cui si sono fuse le lotte dei lavoratori, dei cittadini e degli studenti nel nome “dell'ambiente, della salute e del lavoro".
Alla manifestazione abbiamo partecipato insieme a tante altre delegazioni di militanti USB provenienti da tutta Italia e abbiamo sfilato con gli studenti impegnati nel quarto sciopero globale per l'ambiente di Friday For Future e con le associazioni di Taranto che combattono da tempo per "un presente e un futuro senza più veleni”.
Tutti uniti nel chiedere la chiusura degli impianti nocivi e la loro bonifica, la liberazione della città dagli avvelenatori e la fine del ricatto agli operai “lavoro contro salute”.
Mentre il governo delega agli squali privati, che mai e poi mai potranno fare altro se non succhiare profitti fino all'osso per poi scappare con il maltolto, la città sta morendo, la gente sta morendo.
E come per l'Ilva, magari con conseguenze meno drammatiche, lo stesso accade per altre aziende come trasporti, telecomunicazioni, autostrade, scuola, o gravi altrettanto come per la sanità.
Privatizzare è stata per anni la loro parola d'ordine, in sudditanza ai vincoli dei trattati imposti dalle politiche economiche dell’Unione Europea.
Nazionalizzare è la nostra.
Ma non una nazionalizzazione ipocrita in cui il governo sostenga i profitti del privato e socializzi le perdite e i relativi costi sociali per il risanamento ambientale. Avete mai visto un privato che redistribuisce ai lavoratori, che producono veramente la loro ricchezza, o ai cittadini, i propri profitti?
Noi mai.
Nonostante la partecipazione di migliaia di manifestanti e con un problema di questa gravità, ora per l'Ilva domani chissà, di tutto questo qualcuno di voi ha sentito parlare in TV o sui giornali?
Niente, non una parola.
Di altro si parla fino allo sfinimento (vedi le Sardine, Greta e sono solo due esempi fra tanti) di questo che è uno tra i problemi veri e più gravi del paese, nulla, il vuoto pneumatico.
Ma se di alcune cose si parla e straparla con il megafono e di altre neppure sottovoce, forse è arrivato il momento di farsi qualche domanda e darsi anche qualche risposta. Non è che le prime sono funzionali a questo sistema e le altre no? Non è che dovremmo fare uno sforzo per capire veramente ciò che ci sta uccidendo, invece di seguire la corrente senza impegnarci e magari metterci in gioco personalmente?
È che l'informazione ormai anche avendo la libertà non saprebbe che farsene e molte persone continuano a non voler sapere, anche se voci fuori dal coro le hanno "vicine di scrivania".
Ma se c’è chi pensa o spera di rimanere fuori dalle conseguenze di questo processo di distruzione sistematica e scientifica del patrimonio industriale del paese sbaglia, di grosso.
"È tempo di riportare in mani pubbliche la politica industriale del Paese, perché coniugare lavoro e ambiente si può e si deve".