TIM Covid 19 e necessità del ritorno al pubblico per le telecomunicazioni
Riportare le Telecomunicazioni in mani pubbliche per difendere il salario, l’occupazione e garantire i servizi, la democrazia nella rete e l’indipendenza della politica industriale.
In questi drammatici mesi l’emergenza Coronavirus ha fatto emergere quello che era già noto, ossia il fallimento della gestione privata delle infrastrutture dalle TLC.
Perciò respingiamo al mittente le lamentele dell’AD di TIM Gubitosi sul rischio, tutto da verificare, di perdita dei ricavi in conseguenza del Coronavirus.
Piuttosto al centro delle valutazioni, va messo il fallimento del servizio di telecomunicazioni gestito in maniera privatistica, soprattutto di fronte al gap tecnologico, all’inefficienza della struttura di rete, di fronte all’aumento dei volumi di traffico, alla contestuale sperequazione nella gestione della domanda di servizio tra aree ricche e aree a bassa profittabilità. Un’impostazione mercantile che ha allargato le differenze sociali nel diritto per l’accesso alle comunicazioni.
Siamo perciò contrari alle mezze misure, come il “Cura Italia”, dove la classe dirigente, attraverso le classiche politiche di sostegno diretto e indiretto, regala soldi pubblici alle grandi compagnie telefoniche private che disegneranno i servizi a banda larga e ultralarga, secondo la logica del loro ritorno economico.
Dal punto di vista interno la dirigenza TIM ha avviato, un processo di razionalizzazione e ha “riorganizzato” la sua struttura in funzione della digitalizzazione dei processi interni, attraverso una raffica di comunicazioni organizzative. Un appiattimento pagato dai lavoratori, in termini professionali, di organizzazione del lavoro e che ha visto anche la chiusura e l’accorpamento delle sedi di lavoro.
A questo si aggiunge l’uso strutturale e arbitrario degli ammortizzatori sociali da parte di TIM che penalizza i lavoratori. Una situazione che anche, in relazione allo sviluppo tecnologico (digitale, fabbrica 4.0), rende sempre più attuale e urgente la richiesta della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
TIM, come le altre grandi compagnie telefoniche, è impegnata in complesse operazioni societarie, legate alla competizione sul mercato della telefonia e della gestione di dati e reti.
Il futuro è già segnato dall’aggravamento della crisi economica e questo rende ancora più forte la competizione economica e con essa il processo di acquisizioni di asset come le TLC, come non stupirebbe se nell’azionariato di TIM spuntasse qualche altro investitore rilevante internazionale in grado di valutare l’opportunità industriale.
Il Presidente del Consiglio Conte ha sostenuto il ricorso dello strumento della “Golden Power”, per bloccare le acquisizioni di realtà finanziarie e industriali, definite strategiche per il paese.
Contestiamo la Golden Power perché subalterna e funzionale al mercato speculativo, insufficiente a difendere gli asset e gli interessi generali e perché, nel caso di TIM, arriva in ritardo, vista le presenze ingombranti del Fondo Elliot e Vivendi come soci e Google, Amazon e KKR come partnership.
USB Lavoro Privato chiede da anni una politica economica di scelta, con la gestione, la programmazione diretta e pubblica delle infrastrutture, delle realtà finanziare e industriali strategiche del paese; tra queste il settore delle telecomunicazioni e dell’informatica, a garanzia del diritto di accesso ai servizi e alle comunicazioni, nonché alla tutela della sovranità popolare sulla gestione dei dati personali e strategici.
Riportare le Telecomunicazioni in mani pubbliche per difendere il salario, l’occupazione e garantire i servizi, la democrazia nella rete e l’indipendenza della politica industriale.