TIM: Dopo 11 anni, sempre e solo la stessa MINESTRA
Sapete qual è la novità dell’incontro del 27/28 luglio ’22 tra azienda, coordinamento nazionale RSU e segreterie CGILCISLUILUGL sugli “interventi e strumenti a supporto dell'assetto attuale del gruppo TIM”?
NESSUNA
L’azienda, in maniera del tutto rituale nella forma e inaccettabile nei contenuti, ha riproposto la collocazione in Contratto di solidarietà espansiva di 27.003 lavoratori TIM per il periodo 1° settembre 2022 – 29 febbraio 2024 e di altri 3.338 lavoratori delle aziende del Gruppo TIM (Olivetti S.p.A., Noovle S.p.A., T.I. Sparkle S.p.A. e Telecontact Center S.p.A.)
Come per il passato per la soluzione dei problemi finanziari, l’azienda ripropone la gustosissima ricetta fatta di “sviluppo dei ricavi grazie alla riduzione di tutti i costi di funzionamento”, primo fra tutti il costo del lavoro e a seguire il costo degli appalti/fornitori, innaffiata da ottima formazione di annata.
Ciò conferma quanto si tratteggiava nella presentazione del piano industriale: in questo momento di crisi profonda che stiamo attraversando l’elemento ostativo alla crescita dei ricavi è sempre e solo il costo del lavoro.
Visti i risultati ottenuti in 11 anni di CGIS e Formazione indigesta ai più, è chiaro come questo piano industriale non offra alcuna prospettiva, non preveda gli investimenti necessari a rilanciare l'azienda in produttività e scarica ancora una volta il costo degli errori manageriali sulle spalle dei lavoratori, sancendo il definitivo ridimensionamento della nostra Azienda.
Ad oggi, complice la crisi in corso, la situazione è gravissima con fatturato e utile in discesa e debito ancora pesantissimo. Il valore del titolo è ai minimi storici, così come la capitalizzazione in borsa e il rating e lo "spezzatino" pare inevitabile.
Ma produrrà davvero valore o solo tagli del personale, con relativo aumento del lavoro pro-capite per giornata lavorativa come abbiamo registrato in questi anni di cassa integrazione?
Manca una visione di sistema e di regole che dovrebbero far cessare il dumping salariale e la concorrenza sleale. Anzi, ci chiedono di competere con le “cavallette” che non applicano nemmeno lo Statuto dei Lavoratori e magari pagano anche le tasse all'estero.
Non siamo disponibili ad alcuna discussione che attraverso l’uso di ammortizzatori sociali chieda nuovi sacrifici ai lavoratori, ancora più che negli ultimi 20 anni, in assenza di chiarezza e certezze sul piano industriale.
Una crescita sana non è costruita solo sul taglio dei costi, né sulla perdita di posti di lavoro e dei diritti acquisiti.
Ribadiamo la nostra richiesta di intervento dello Stato per garantire sviluppo, occupazione e riforma del settore.
La nazionalizzazione non può più essere un tabù
laddove la privatizzazione ha ampiamente fallito.