TIM: FORMAZIONE A CHI GIOVA
È prassi ormai consolidata che TIM, come molte altre aziende, usufruisca di discrete cifre per la formazione dei lavoratori, principalmente utilizzando i finanziamenti messi a disposizione dai fondi strutturali europei e in molti casi cofinanziati da Stato e Regioni.
Anche per l’ultimo Piano di Sviluppo NEXT TIM, l’azienda ha attinto al FONDO NUOVE COMPETENZE (FNC) per il rilancio delle politiche attive del lavoro istituito presso ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro).
Il fondo, di 730 milioni, si pone l'obiettivo di permettere alle imprese, a seguito di opportuni accordi, di finanziare percorsi formativi con la relativa copertura economica anche degli oneri dei contributi previdenziali e assistenziali relativi alle ore di formazione da fruire durante l’orario di lavoro.
TIM quindi, con l’accordo sindacale del 9 novembre 2020 con SLC-CGIL-FISTEL-CISL-UILCOM-UIL e UGL Telecomunicazioni, ha prontamente chiesto l’accesso ai fondi, presentando un progetto articolato in 101 corsi di formazione e 19 percorsi di aggiornamento, con decorrenza da metà dicembre 2020, teoricamente allo scopo di aggiornare le competenze digitali dei propri dipendenti, per le mutate esigenze organizzative e produttive dell’azienda.
A parte le iniziali difficoltà di fruizione, dovuti a problemi tecnici delle piattaforme, i corsi proposti sono tutt’altro che personalizzati. Ad esclusione di alcuni corsi di base, che possono essere validi per tutti i lavoratori, ce ne sono altri i cui contenuti sono molto tecnici e distanti dalla professionalità attuale del lavoratore.
Questa caratteristica non aiuta in alcun modo il lavoratore né a crescere nella propria professionalità, né ad acquisire nuove conoscenze di base da poter sfruttare per una nuova eventuale attività.
Del resto nell’esperienza vissuta nei cicli di solidarietà in TIM non ci è sembrato affatto evidente il legame tra la formazione e la ricollocazione professionale. I lavoratori infatti ci hanno riportato in molte occasioni che la formazione è avvenuta spesso in forma superficiale e insufficiente e solo dopo l’avvenuta ricollocazione.
Se quindi lo scopo è quello di far crescere le competenze dei lavoratori e/o di farne acquisire di nuove, USB ritiene che manchi il passo fondamentale di rilevamento del raggiungimento dell’obiettivo: come si quantifica l’acquisizione di nuove competenze e, ancora, come si controlla la reale efficacia nella ricollocazione di personale a seguito dei corsi erogati?
Apparentemente invece sembra che i corsi erogati abbiano l’esclusiva utilità di drenare finanziamenti, divenuti rilevanti nel fatturato annuo dell’azienda, senza determinare migliori prospettive per la forza lavoro coinvolta.
Se fino a ieri lo spreco di risorse era ingiustificato, oggi nel periodo drammatico che stiamo vivendo, diventa insopportabile. USB ritiene sicuramente indispensabile la formazione per adattarsi alle nuove modalità di lavoro e per acquisire le competenze adatte alle nuove attività e per questo auspica che non si perda questa occasione erogando corsi senza apparente progettualità reale e opportuni strumenti di controllo sulla loro efficacia.
Altrimenti a che cosa servono questi corsi?