TIM in coma farmacologico

COSTO DEL LAVORO AL MINIMO, MINIMI INVESTIMENTI

Nazionale -

Il CDA del 14 gennaio ha messo in luce la realtà di un’azienda senza guida, immobilizzata dalle liti dei principali azionisti che vogliono a tutti i costi far prevalere le proprie ragioni in un contesto come quello attuale di grande confusione organizzativa e gestionale.

Il nuovo AD nel frattempo procede alla nomina dei nuovi vertici operativi, figure venute dall’esterno di TIM a indicare la totale assenza di fiducia nel management presente. Profili con competenze nell’alta finanza ma nessuna conoscenza delle TLC. Ulteriore tempo perso.

Nel frattempo? L’azienda si concentra sulle uniche leve gestionali che al momento vuole usare: abbassare il costo del lavoro e tenere fermi gli investimenti non strettamente necessari. Come avevamo anticipato nel nostro comunicato del 17 dicembre (Ferie e Permessi retribuiti), l’azienda ha sancito nel coordinamento del 13 gennaio la spasmodica attenzione al controllo e alla riduzione dei costi operativi: abbiamo riavuto meno di quello che avevamo prima della disdetta unilaterale del 2016 del contratto di II livello ma con i vincoli di fruizione dettati dall’azienda. Una azienda che si limita insomma ad esercitare un ruolo burocratico, facendo ratificare le proprie decisioni dalle Segreterie Nazionali dei sindacati confederali e non ammettendo alcun dissenso.

TIM è tenuta in una sorta di coma farmacologico: tenere vivo il paziente con la minima energia per evitare altri danni, in attesa che il quadro clinico migliori.

E ora si aprono le danze del II livello. La completa rinuncia al conflitto dimostrerà ancora una volta che l’azienda potrà fare quello che vuole, come per esempio sui criteri di misurazione e valutazione della produttività dei singoli, che riporterebbe indietro le lancette della storia, tornando al cottimo.

Nella trattativa, prevediamo già da ora che assumerà un ruolo centrale il lavoro agile, tema molto sentito dai lavoratori, che verrà utilizzato dall’azienda paradossalmente come ricatto per ottenere dai Sindacati cedimenti sia normativi che salariali. Situazione paradossale visto che il lavoro agile è stato concepito come necessità aziendale di lavorare in condizioni più produttive (logistiche e di equilibrio psicofisico), assumendo invece sempre più il carattere di benefit per i lavoratori.

Sul lato politico, si sono affievoliti gli entusiasmi sullo scorporo della rete. Noi speriamo che questo sia accaduto perché ci si è resi conto che si tratta di una vera follia, ma temiamo che sia perché ancora non c’è un vincitore tra gli azionisti in lotta.

Eppure le proposte che avevamo fatto per uscire dal coma ci sembrano ancora valide: rinazionalizzazione TIM, restituendole il suo ruolo di guida tecnologica per il Paese e affrontare seriamente la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Ma le proposte senza conflitto non diventano realtà. L’assenza di conflitto porta sempre ad accordi a ribasso, che generano scoramento e rassegnazione tra i lavoratori, che riducono sempre di più lo stimolo alla lotta…e così, in un circolo vizioso senza fine.

USB pensa che questa situazione non sia una legge di natura ma sia frutto della volontà “datoriale”, che noi ci ostiniamo a definire padronale, per mantenere i lavoratori nelle condizioni di sottomissione.

Di fronte a tanta arroganza e tracotanza la differenza la possono fare i lavoratori decidendo da che parte stare.

USB è e sarà sempre dalla parte dei lavoratori.