TIM “STECCATA” LA PRIMA INTERNALIZZAZIONE

Roma -

Secondo quanto previsto nell’accordo del 18 luglio 2019 firmato dai sindacati confederali, è partito il piano di riorganizzazione aziendale che vede come punto focale le internalizzazioni delle attività in grado di assicurare, a detta dell’azienda, efficientamento e risparmi di gestione, assieme a interventi sulle risorse, quali processi formativi, valorizzazione del personale, etc.

Tuttavia già la prima internalizzazione del “nuovo corso”, intrapresa nell’IT, desta molte preoccupazioni in quanto presenta gravi carenze sulle modalità con cui è stata portata avanti. L’obiettivo era di internalizzare, a partire dal 1 ottobre, un’attività di gestione dei ticket aperti dai negozi TIM sulle procedure di gestione cliente, da svolgere in turni a coprire l’orario 08:00 - 20:00. I lavoratori individuati dovrebbero seguire un corso di formazione di due settimane per acquisire competenze sulle procedure e sulla rete fissa e mobile di TIM.

Quali lavoratori e come sono stati individuati per questa attività? A detta dell’azienda il criterio avrebbe dovuto essere il progetto di “decommissioning”, cioè il riassetto dell’intera rete TIM con la conseguente dismissione di centrali, apparati, sistemi di gestione e l’inevitabile perdita dell’attività di molti lavoratori che quindi si dovrebbero ricollocare (“energie liberate” a detta dell’azienda! Quando si parla di punti di vista...).

Nella realtà sono stati individuati lavoratori con attività ancora vive (per ironia della sorte alcuni lavoravano al decommissioning!), che non si sono mai occupati di mobile o che, per problemi gravi personali, non possono svolgere attività in turno, dimostrando che spesso non si conoscono le risorse gestite, ignorando le caratteristiche e le esigenze personali, la dignità e l’aspirazione professionale del lavoratore.

A torto speravamo che l’azienda, per evitare gli errori fatti in passate internalizzazioni malamente condotte, utilizzasse una comunicazione personalizzata, chiara e trasparente, come il buon senso consiglierebbe.

Ci chiediamo se quanto avvenuto sia frutto di comportamenti ingiustificati e inammissibili di singoli dirigenti che hanno sistematicamente creato ansia e paura nei propri collaboratori o faccia parte dello “stile” gestionale che ci dobbiamo aspettare nelle prossime iniziative conseguenti all’accordo sottoscritto.

Se questo è quanto accaduto per un esiguo numero di lavoratori (si parla di una decina di persone) cosa dovremmo aspettarci quando si tratterà di spostare le quantità molto più corpose previste dall’accordo?

USB si chiede se l’azienda abbia un’idea anche vaga del progetto complessivo delle internalizzazioni. Da quanto accaduto ci sembra che non verifichi le risorse disponibili, oggi in alcuni settori in sofferenza e probabilmente ancora più in difficoltà in seguito all’esodo incentivato, sottovaluti l’eccessiva distanza tra competenze richieste nelle attività da internalizzare e competenze dei lavoratori e che infine non abbia consapevolezza di quanto interventi maldestri di questo tipo portino a frustrazione per il lavoratore e inefficienza per l’azienda.