TIM Smart Working opportunità o subalternità dei lavoratori

Cosa succederà una volta finita l’emergenza

Nazionale -

 

Con l’emergenza coronavirus c’è stata un’impennata del ricorso allo smart working, poiché le aziende per uscire dall'emergenza vi hanno fatto ricorso pesantemente per permettere ai propri dipendenti di proseguire il lavoro da remoto.

Nonostante la retorica dei potenziali benefici sulla conciliazione tra vita privata e lavoro, come il tempo guadagnato con la riduzione degli spostamenti e dei relativi costi, soprattutto per i pendolari, dopo l’esperienza di questi mesi di smart working “forzato” in molti hanno sperimentato sulla propria pelle anche gli effetti che si nascondono dietro tale attività lavorativa, come per esempio l’aumento del tempo trascorso al PC per gestire e pianificare il lavoro, a discapito del tempo da dedicare alle proprie esigenze di vita, i costi delle utenze e il mancato riconoscimento del buono pasto.

L’attività lavorativa è stata infatti preminente nella quotidianità, con il fatale allungamento dell’orario di lavoro, rendendo risibile la separazione tra tempo di lavoro e tempo liberato dal lavoro.

Per questo si parla di introdurre per legge il “diritto alla disconnessione”, ovvero il diritto ad essere irraggiungibili in alcuni orari, come la sera e i festivi. Diritto al quale si potrebbe rinunciare a causa della competizione che potrebbe compromettere il nostro posto di lavoro o la nostra posizione professionale all’interno dell’azienda.

Inoltre, con il passare del tempo, si evidenzia come lo smart working (Lavoro Agile) si stia dimostrando una trappola per il lavoratore che, al contrario, non è semplicemente la possibilità di lavorare anche da casa ma il rischio di lavorare utilizzando tutti gli spazi e tutti i tempi del lavoratore che viene misurato più sui risultati e obbiettivi raggiunti, con un approccio “da imprenditore di sé stesso”, annullando i confini privato-pubblico, casa-lavoro, salute-malattia.

Il rischio palese è che a tendere si venga considerati come un lavoratore autonomo, in quanto si dovrà rendere conto non dell’orario ma solo dei risultati, ai quali sarebbe a sua volta legato il salario. È prevedibile che questo criterio sarà inserito nei prossimi rinnovi contrattuali e ciò causerebbe la trasformazione delle attuali figure professionali in false “partita IVA”, alle quali il padrone potrebbe legare la retorica del “premiare il merito”, attraverso salario premiale, crescita professionale, ecc.

Oggi c'è chi lo chiama “lavoratore proattivo”, nella realtà sappiamo che questo si chiama lavoro a cottimo.

Con la fine del lockdown, molte aziende si stanno interrogando se abbia veramente senso tornare in ufficio, oppure proseguire con lo smart working solo per alcuni giorni a settimana e/o tempo pieno, con il dipendente in collegamento da casa, al solo scopo di far crescere il profitto e ridurre i costi fissi in termini di spazi dedicati, utenze elettriche, riscaldamento, sicurezza e buoni pasto, che verrebbero scaricati interamente sulle spalle dei lavoratori.

I costi di produzione (bolletta della luce, gas, acqua, telefono e le pulizie) del dipendente in “smart working”, come le spese sostenute per trasformare parte della casa in ufficio a discapito del suo spazio privato, devono essere invece a carico del datore di lavoro.

Il lavoro da remoto offre delle opportunità ma rischia anche di aumentare esponenzialmente il livello di sfruttamento e di subalternità dei lavoratori agli interessi aziendali, il che non è mai una buona cosa.

Si tratta, in sostanza, di partire da un punto di vista diverso e verificare, caso per caso, quali siano effettivamente le necessità di non presenza fisica sul luogo di lavoro, sperimentando uno smart working “ritagliato” sulle reali esigenze del lavoratore, che lo lasci libero di decidere se lavorare nei locali aziendali o altrove.

Come le testimonianze di tanti lavoratori durante la pandemia hanno dimostrato, non è più tollerabile che in una situazione di disoccupazione strutturale crescente, dovuta alla digitalizzazione, non si parli invece dell’unica strada percorribile, cavallo di battaglia del sindacato USB: la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario per allargare la sfera di occupabilità.